Dedicato ai nostri fratelli della Sardegna, delle Filippine e di ogni altro angolo della terra…

Ci risiamo. Ancora una volta siamo qui a piangere i morti per le catastrofi naturali. E certamente, guardando le immagini, non è possibile negare che si sia trattato di fenomeni di intensità eccezionale.

Eppure, andando oltre l’immediato sgomento e la doverosa solidarietà, non credo sia possibile esimersi da una riflessione più ampia sulle responsabilità di queste morti.

Già in occasione della immane tragedia che colpì Haiti nel 2010, in un post su questo blog, avevo osservato quale ruolo avesse giocato la povertà, molto più che il terremoto, facendo notare come, appena due anni prima, quando un sisma d’intensità 7,2 della scala Richter -esattamente come quello di Haiti- aveva colpito il nord est del Giappone, lasciando 29.000 abitazioni senza elettricità, le vittime erano state solo sei, e i feriti duecento. Ad Haiti invece le ultime stime parlavano di una cifra davvero impressionante: 260.000 vittime.
La riprova di questa analisi sta nel fatto che, anche ad Haiti, le case dei ricchi non erano affatto crollate! Tutto dipende, insomma, dalle tecniche di costruzione degli edifici e dalla loro collocazione, e in senso più ampio da tutti gli interventi messi in campo in termini di prevenzione del rischio, sia esso sismico così come idrogeologico.

Devono farci riflettere allora le oltre 300 vittime del terremoto in Abruzzo del giugno 2008, con un sisma di magnitudo “appena” 5,8 della scala Richter.

Già, perché se è certamente vero che non possiamo  prevedere la data di questi eventi naturali di estrema intensità, è altrettanto vero che essi non sono affatto imprevedibili in assoluto ed in larga parte anche evitabili nelle loro tragiche conseguenze.

In un post del 2011 nel mio blog nel FattoQuotidiano.it facevo notare come il budget italiano  del 2010 per la prevenzione fosse stato di appena 55 milioni di euro, a fronte dei 238 milioni di euro spesi per fronteggiare le varie emergenze legate a frane e inondazioni nei 12 mesi precedenti.

Sappiamo perfettamente che oltre il 70% del nostro territorio nazionale si trova in aree classificate ad alto potenziale di rischio idrogeologico. Le ragioni sono ben note: un’urbanizzazione senza regole, l’abusivismo edilizio, la cementificazione selvaggia, il disboscamento, l’incuria del territorio e l’alterazione dell’equilibrio idrogeologico dei corsi d’acqua.
Il riassetto del territorio dovrebbe dunque passare da una continua cura del territorio, manutenendolo, controllandolo periodicamente e prevenendo potenziali pericoli non con gigantesche opere inutili e spesso dannose (il cemento infatti accelera la velocità dell’acqua), ma attraverso interventi mirati e rispettosi dell’ambiente. E inoltre da una seria lotta agli incendi e al disboscamento, tra le cause principali dell’erosione del suolo, visto che le radici delle piante, e degli alberi in particolare, costituiscono una delle barriere più efficaci contro l’erosione del terreno. Senza infine dimenticare una vera lotta agli illeciti ambientali.

Secondo l’Anbi (Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari) per fare questo basterebbero 4,1 miliardi da spendere in piccole e piccolissime opere di manutenzione, ammortizzabili in poco tempo, se pensiamo che le alluvioni nel solo periodo 1994-2004 hanno prodotto danni per 20 miliardi.

Occorre però un netto cambio di mentalità, che ci porti dalla logica dell’emergenza a quella della prevenzione. Perché, come diceva Albert Einstein: “l’uomo intelligente risolve i problemi, ma l’uomo saggio li previene”.

Ancora una volta, quindi, si tratta soprattutto di un cambiamento a livello culturale, che a mio avviso non può che partire dal basso, perché se aspettiamo che ad incominciare siano quei miserabili che la mattina del terremoto all’Aquila ridevano al telefono pregustando il business della ricostruzione…

E’ per questo che, al di là delle modeste donazioni che ho potuto fare personalmente per le popolazioni colpite dalle catastrofi di questi giorni, nelle Filippine e in Sardegna, a loro voglio soprattutto dedicare il mio intenso impegno educativo e culturale.

A loro dedico quindi i 36 incontri con gli alunni delle Scuole medie e i 12 incontri serali nelle Circoscrizioni del Progetto sull’energia a Cesena.

A loro dedico l’impegno che continua con il Consiglio Comunale dei Bambini e delle Bambine di Cervia, così come i laboratori sull’Educazione alla mondialità -che iniziano in questi giorni- con le classi dell’ITC “Matteucci” di Forlì e quelli sull’Educazione ai valori con le Scuole medie “Europa” di Faenza.

A loro dedico il mio incontro-spettacolo “Sogno e son desto” che porterò per i ragazzi il 28 novembre a Russi, il 2/4/11 dicembre al teatro comunale di Cervia, il 19 al teatro Goldoni di Bagnacavallo e il 22 gennaio alla Sala Estense di Ferrara.

A loro dedico la serata sulla mondialità a Russi del 30 novembre, così come la mattina del “Progetto ICare – Voglia di cambiamento” con le superiori ad Abano Terme del 10 dicembre, l’incontro sul dialogo interreligioso a Novellara del 15 dicembre, così come quello sulla Globalizzazione a Padova del 12 gennaio e gli incontri del Progetto sull’acqua con gli alunni di Colorno del 15/17/20 gennaio.

A loro dedico tutta la mia passione in questo impegno, perché come ricordavo in un recente post riprendendo le parole del grandissimo poeta Kahlil Gibran:

“Date ben poco quando date dalle vostre ricchezze.
E’ quando date voi stessi che date veramente.”

 

Maroni, se ci sei batti un colpo…

Greenpeace Italia lancia una interessante iniziativa, di assoluto buonsenso!

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Propone infatti di scrivere al Ministro dell’Interno Maroni per chiedergli di accorpare l’appuntamento referendario sul nucleare con le elezioni amministrative che si terranno in molte città a maggio.

Questo per due semplici motivi:

facilitare la partecipazione democratica al referendum;

destinare agli aiuti per il Giappone i 400 milioni di euro che si risparmierebbero.

L’iniziativa ha quasi raggiunto 80.000 firme. Se anche tu condividi questa proposta vai sul sito di Greenpeace e firma la petizione on-line.

Haiti: uccisi dalla povertà più che dal terremoto

I giorni scorsi, come tanti, ho dato un piccolo contributo di solidarietà per le popolazioni di Haiti, in questo momento così tragico della loro storia.

 

L’ho fatto attraverso l’Associazione Yele, consigliatami da Jacopo Fo che li conosce da tanti anni e con i quali lui ha collaborato per alcuni progetti in passato.

 

edifici_crollati1265104999.jpgUn aiuto, per quanto piccolo, può essere davvero determinante in questi momenti, e lo sarà ancor più fra poche settimane quando i riflettori delle tv si spegneranno su questo dramma e molti se ne dimenticheranno.

 

Ma la solidarietà non è sufficiente e io non posso accettare che di fronte ad una simile catastrofe passi l’idea che si tratti semplicemente di una fatalità naturale!

 

Occorre dire in modo chiaro che moltissimo dipende dalle tecniche di costruzione degli edifici e dai materiali utilizzati!

 

Lo hanno dimostrato le oltre 300 vittime del terremoto in Abruzzo, con un sisma di magnitudo 5,8 della scala Richter, mentre nel giugno del 2008, quando un sisma d’intensità 7,2 della scala Richter -esattamente come quello di Haiti- colpì il nord est del Giappone, 29.000 abitazioni collocate nella zona colpita rimasero senza elettricità, ma le vittime furono solo sei, e i feriti duecento.

 

Com’è possibile questo? Si tratta di prevenire. Nella costruzione degli edifici, per esempio, i giapponesi ricorrono a cuscinetti, sistemati alle fondamenta e tra un piano e l’altro in modo da attutire i colpi, e all’acciaio elastico e alla fibra di carbonio per i pilastri delle strutture. In tal modo, il rischio di crollo risulta estremamente ridotto.

 

Insomma le conoscenze e le tecniche esistono già, e possono non essere affatto costose. Forse non tutti sanno che in Trentino è stata realizzata una casa in legno antisismica alta 7 piani che può resistere senza danni a un sisma di magnitudo 7.2 della scala Richter.

 

Guardate un po’ questo filmato davvero impressionante:

 

 

Ad Haiti la catastrofe è stata disumana, perché disumane erano già le condizioni di miseria in cui la popolazione di questo poverissimo paese era costretta a vivere. La riprova è il fatto che le case dei ricchi non sono affatto crollate!

 

Ma vorrei porre alcune domande che mi paiono di assoluto buonsenso: se le montagne di soldi che si spenderanno ora (secondo la FAO servono subito 700 milioni di dollari!!!) per portare soccorsi e ricostruire si fossero utilizzate prima, non si sarebbe forse potuto risparmiare ed evitare un disastro simile?

Se il debito estero di questo Paese fosse stato cancellato prima, come semplice gesto di giustizia, anziché ora, con ipocrita compassione, non si sarebbe forse liberata la popolazione di Haiti da un ennesimo macigno che ha gravato in tutti questi anni sulla possibilità di costruire dignità e autonomia?

 

Credo in tutta sincerità che l’aiuto più consistente che ho portato ad Haiti, nel mio piccolo, non sia tanto nella piccola donazione che ho potuto fare l’altro giorno, quanto nelle centinaia di incontri che ho tenuto in questi anni, nell’attività di formazione e informazione in cui ho sempre ripetuto che esistono percorsi realizzabili che possono liberare l’umanità dalla fame, dalla miseria, dall’analfabetismo, dal lavoro minorile… con costi ridottissimi -rispetto ad esempio alla follia delle spese militari– e nell’interesse di tutti, anche dei paesi ricchi!

 

un-mondo-senza-poverta.jpgAd Haiti il terremoto non avrebbe creato una simile devastazione se non avesse trovato una fedele alleata a sostenerlo: la povertà.

E’ contro di essa che occorre lottare, nella consapevolezza che noi possiamo davvero cancellarla dalla storia e relegarla nei libri.

 

Come ha detto il grande Muhammad Yunus esprimendo il suo sogno ad occhi aperti nel suo ultimo libro “Un mondo senza povertà”:

“Relegheremo la povertà nei musei. Ce ne sarà uno in ogni Paese, ci porteremo i bambini in visita: resteranno orripilati scoprendo la condizione infame che così tanti essere umani hanno dovuto sopportare per così lungo tempo e condanneranno i loro progenitori che hanno permesso tutto ciò”.


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