Sono rientrato tre giorni fa dal Burkina Faso e -come sempre mi accade- mi ritrovo ancora abbastanza spaesato e mi chiedo cosa ci faccio qui.
Sarà per i 30 gradi di differenza, o forse per il brusco cambio di colori che dal rosso della terra e dall’azzurro dei cieli africani hanno lasciato posto ad un grigio che fonde all’orizzonte l’asfalto con la nebbia.
Ho ancora negli occhi la gioia delle donne nel villaggio di Andega, che esplode danzando per il pozzo che abbiamo appena realizzato.
Un pozzo che dà vita e alleggerisce il loro carico di lavoro quotidiano, liberando tempo prezioso per prendersi cura dei figli, avviare piccole attività di artigianato o anche solo per un po’ di raro quanto sacrosanto riposo.
Ho ancora negli occhi la disperazione, avvolta da un nugolo di mosche, e nelle narici l’odore nauseabondo che emanava la gamba in cancrena di un ragazzo di appena 28 anni che ha bussato alla nostra porta a Ouagadougou, per chiederci disperato il costo del trasporto per poter rientrare a morire al suo villaggio, accanto alla sua famiglia e ai suoi due figli ancora piccoli.
E ho nitida negli occhi la luce della speranza che si è riaccesa in lui quando gli abbiamo detto che avremmo fatto di tutto per curarlo e da subito abbiamo iniziato ad occuparcene concretamente!
E mille altre immagini fortissime che si sono impresse nel mio animo come su una pellicola e che certamente non si cancelleranno in pochi giorni…
E così mi ricordo perché mi appassiona tanto il mio impegno nei campi della formazione, dell’informazione e della politica intese come servizi alla comunità e partecipazione alla creazione di un futuro migliore per tutti.
Mi ci vorrà ancora qualche giorno, certo, ma ora mi sento un po’ meno spaesato di prima.