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Il Rapporto 2009 appena reso noto da Amnesty International conferma la tendenza in corso ormai da oltre 30 anni verso il progressivo abbandono della
pena capitale.
Dal 1976 ad oggi, infatti, una media di tre nuovi Paesi ogni anno ha aggiunto il proprio nome alla lista dei paesi che l’hanno abolita.
Appena due anni fa, sempre basandomi sui dati di Amnesty International, evidenziavo nel mio libro Non è vero che tutto va peggio l’incredibile aumento nel numero dei paesi che l’hanno abolita per legge o in pratica, che erano passati in soli 30 anni da 16 a 135!!! Oltre i 2/3 degli stati del mondo.
Beh, ora questi paesi sono cresciuti ancora, arrivando a 139 su un totale di 197.
Anche il numero dei paesi in cui sono state eseguite esecuzioni capitali è sceso ancora, da 24 a 18, cioè meno del 10% dei Paesi della comunità internazionale e
le esecuzioni che erano diminute in due anni da 2148 a 1252, sono ulteriormente scese fino a 714.
I Paesi che hanno completamente abolito la pena capitale sono saliti a 95 e ci
sono due continenti – Oceania ed Europa – che nel 2009, per la prima volta in assoluto nella storia, non hanno fatto registrare esecuzioni!
Del resto, come si legge nel Rapporto di Amnesty anche “in tutto il continente americano, gli Usa sono stati l’unico paese ad eseguire condanne a morte”.
Inoltre, come sottolinea Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia: “E’ importante sottolineare quanto il continente più refrattario alla tendenza abolizionista, cioè l’Asia, sia il continente nel quale sono stati registrati passi
avanti importanti, tant’è che Afghanistan, Indonesia, Mongolia e Pakistan non hanno fatto registrate esecuzioni, e l’India, per il quinto anno consecutivo, ha portato avanti una moratoria.
Certamente è in Asia però che c’è il buco nero della pena di morte, perché presumiamo che le esecuzioni in Cina siano state ancora migliaia.
Abbiamo chiesto al governo di Pechino di rendere pubblici i dati sulle esecuzioni, perché se dicono ormai da tempo che le esecuzioni sono in diminuzione, non c’è alcuna ragione per cui la pena di morte debba rimanere un segreto di Stato.”
Se alcuni Paesi, come la Cina, alzano un muro di omertà di fronte a questa piaga, forse è proprio perché si rendono conto che la pena di morte è considerata ormai
a livello universale una questione di diritti umani e quindi circondare dal segreto i dati serve ad impedire un’ulteriore e più forte condanna e stigmatizzazione da parte della maggioranza dei Paesi del mondo, che ormai sono abolizionisti convinti.
Come ha dichiarato Claudio Cordone, Segretario generale ad interim di Amnesty International: “Sempre meno paesi fanno ricorso alle esecuzioni. Come in passato con la schiavitù e l’apartheid, il mondo sta respingendo questo affronto all’umanità. Siamo più vicini a un mondo libero dalla pena di morte, ma fino a
quel giorno bisognerà opporsi a ogni esecuzione“.