Vorrei condividere con voi oggi un breve brano che mi ha fatto molto riflettere, oltre che sorridere. E’ tratto dal libro “decrescere per il futuro”, a cura del gruppo spiritualità CNCA, edito da Comunità Edizioni, che può essere acquistato o anche scaricato gratuitamente in pdf da questa pagina.
Si tratta di un vecchio aneddoto a proposito di un incidente riportato, durante le manovre militari in Svizzera, dal premio Nobel ungherese Albert Szent-Györgyi:
“Il giovane tenente di un piccolo distaccamento ungherese nelle Alpi inviò
un’unità di ricognizione nella
desolata terra di ghiaccio.
Immediatamente prese a nevicare e continuò per due giorni; l’unità non tornava.
Il tenente soffriva, temendo di aver spedito
i suoi uomini incontro alla morte.
Ma al terzo giorno l’unità rientrò.
Dove erano stati? Come avevano ritrovato
la strada?
“Sì – dissero – ci consideravamo persi e attendevamo la fine.
Ma poi uno di noi trovò in tasca una mappa. Questo ci tranquillizzò.
Ci accampammo, lasciando passare la tempesta di neve, e poi con l’aiuto della mappa riuscimmo ad orientarci.
Ed eccoci qui”.
Il tenente chiese in prestito questa straordinaria mappa e la esaminò attentamente. Scoprì con grande stupore che non si trattava di una
mappa delle Alpi, ma dei Pirenei.”
Dunque, darsi delle mappe non è perché esse siano quelle giuste; anzi, in fondo, non sono e non saranno mai abbastanza adeguate e accurate nel
descrivere la realtà.
Però, per quanto sgangherate o errate siano le mappe di cui disponiamo, il loro compito è tenerci in cammino, non far perdere la voglia di alzare lo
sguardo e rimetterci in viaggio.
Evitano cioè che gruppi e persone avvolti nel disorientamento si paralizzino nella disperazione o si sfiniscano nell’essere senza tregua – e senza
meta – indaffarati.
Una carta geografica porta a guardarsi intorno e a riprendere strada.
È profondo il legame tra alzare lo sguardo e camminare: guardare il volto dell’altro e scrutare l’orizzonte verso cui muoversi è diventata una coppia
di gesti umani decisivi da quando, milioni di anni fa, la specie umana ha conquistato la posizione eretta e perfezionato l’andatura bipede, sviluppando di conseguenza il cervello: la specie umana ha “inizio con i piedi”, dice l’antropologo Leroi-Gouran.
I due gesti, uniti, danno spessore all’umano in un tempo in cui troppi volti guardano in basso e poco si è disposti a muoversi verso altri orizzonti.
Solo alzando gli sguardi e ampliando la visuale dei possibili percorsi possiamo vedere l’altro e la novità di liberazione verso cui siamo chiamati a dirigere i passi.