Ripartire, da princìpi e valori diversi!

E’ appena uscito il volume “Ripartire“, al quale io ho dato un mio piccolo contributo di riflessione.

Si tratta di un progetto promosso dall’Associazione “Frontiere”, per festeggiare i due anni di attività del web magazine Frontiere News, una realtà nata con lo scopo di raccontare le sfide, le sconfitte e le vittorie dell’Italia interculturale del terzo millennio.

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Con più di 120 collaboratori in tutto il mondo, il magazine dà voce a coloro che il cambiamento lo vivono in prima persona, contestualizzandolo in una cornice mondiale di sfide per i diritti fondamentali e per l’integrazione tra i popoli.

Frontiere non è solo web: nel 2011 ha sostenuto i migranti di Lampedusa insieme alla onlus Coevema, ed è partner di progetti di scambi culturali finanziati dall’Ue in Polonia.

Il libro racconta le storie di persone che hanno trovato nella solidarietà, nella cultura e nella riscoperta dell’alterità le chiavi per ripartire, nonostante le crisi globali; emozioni e riflessioni di alcuni tra i più validi intellettuali del panorama internazionale dell’interculturalità; racconti di esperienze in prima linea nella guerra all’indifferenza.

Il progetto ospita contributi del vignettista Vauro, del portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury, di Stas’ Gawronski, Enrico Fontana, Luca Bauccio e tanti altri.

Che si trovi in una Gaza sotto assedio o tra gli indios dell’Ecuador, nei gelidi e affollati moli notturni di Lampedusa o in una metropoli australiana, il vero protagonista di questo volume è l’essere umano, con la sua infinita ricerca di sé e con l’esigenza innata di superare i limiti imposti dalle circostanze.

Qui potete scaricare gratuitamente e leggere l’indice e il mio contributo al volume, che è edito sotto licenza “Creative Commons”.

Il 10% del prezzo di copertina sarà devoluto per sostenere le battaglie per i diritti umani che Amnesty Italia porterà avanti nel corso del 2013. E’ anche disponibile una versione eBook.

Buona lettura e buona ri-partenza a tutti.

Oltre il ricordo, per cercare di comprendere

Si celebra oggi la giornata internazionale della memoria, in occasione dell’anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz.

Non è facile scrivere qualcosa su questo tema, tanto fu l’orrore.

Giornata.jpgQuando alcuni anni fa visitai a Trieste la Risiera di San Sabba, l’unico campo di sterminio nazista in territorio italiano, non riuscii a condividere nulla di quello che provai attraverso questo blog.

Troppo assurdo, disumano, incredibile… la stessa sensazione che avevo provato alcuni anni prima a Ouhidah, in Benin, visitando un fortino portoghese da cui partirono milioni di schiavi verso le americhe: senza parole.

Solo a distanza di un anno riuscii a trovarle quelle parole, in una riflessione che oggi voglio riprendere, per i tanti amici che da poco hanno iniziato a visitare questo blog.
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“In questa giornata un po’ ovunque si sono tenuti importanti momenti di celebrazione e ricordo di quello che fu l’orrore dell’olocausto. Milioni di alunni si sono fermati per non dimenticare! E questo è un primo passo fondamentale. Ma a mio avviso non sufficiente.

Liquidare la questione parlando della “follia di Hitler” e del suo disegno, infatti, non aiuta a capire cosa avvenne e come evitare che possa accadere ancora!

Non è sufficiente ricordare, occorre anche riflettere per cercare di capire e per questo vorrei provare a porre alcune domande che possano aiutarci ad inquadrare la Shoah e le sue origini:

1) quali idee stavano alla base del disegno di società nazista?

2) perché si diffusero fra il popolo al punto di legittimare un tale orrore?

3) come vennero diffuse queste idee?

Pongo la prima domanda perché prima di diventare azione, tragedia, il nazismo fu un’ideologia, una visione della vita e della storia fondata sull’idea che la diversità -in tutte le sue forme- fosse un problema, una minaccia, un intoppo da eliminare.

Del resto, secondo le idee deliranti dei teorici razzialisti dell’epoca, la selezione naturale avrebbe comunque finito con l’eliminare i più deboli, selezionando i membri migliori della società… tanto valeva darle una piccola mano, accelerando un processo che appariva comunque come “naturale”.

Fu su queste idee che Hitler fondò la sua visione di una società perfetta, in cui tutti avrebbero dovuto essere uguali, puri, non contaminati dai “diversi”: non solo gli ebrei, infatti, ma anche i nomadi, gli omosessuali, i dissidenti politici, gli apolidi, gli handicappati… chiunque fosse diverso, da qualunque punto di vista, finì nel mirino della follia nazista.

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Riassumendo molto possiamo dire che l’idea di fondo era quella di cancellare la diversità, per creare una società perfetta nel domani.

Per questo io ritengo ogni percorso educativo fondato sul valore della diversità il migliore antidoto contro questa e contro qualunque altra forma di ideologia!

Che si rifletta sulla diversità culturale -attraverso l’intercultura- sulla biodiversità -in biologia- sul pluralismo -come rispetto delle diverse opinioni- qualunque progetto volto a mostrare esplicitamente la diversità come una ricchezza contribuisce a creare gli anticorpi necessari contro ogni forma di discriminazione.

Anche la seconda domanda mi pare centrale: perché si diffusero queste idee fra la popolazione?

Perché qualcuno strumentalizzò le differenze per creare dei mostri, alimentare le paure, additando alcuni come nemici da combattere…

In questo modo la popolazione, un po’ alla volta, finì per assorbire la proposta nazista come una valida “soluzione al problema” che si era voluto creare!

Vi fu cioè una sorta di “legittimazione preventiva” che creò le basi perché la visione nazista potesse essere accettata favorevolmente dal popolo.

Come avvenne questo? Attraverso la propaganda! Hitler capì che la Germania aveva perso la prima guerra mondiale sul piano della comunicazione e decise che non avrebbe commesso una seconda volta questo errore. Così stabilì di investire enormi cifre nella creazione di filmati, riviste, supporti di ogni genere volti a creare consenso e una presunta legittimazione scientifica per la sua visione.

 Fermiamoli.jpgCredo che sia fondamentale oggi, se davvero vogliamo trarre una lezione dalla storia, essere sempre attenti a quanto ci circonda, per sapere riconoscere i segnali che paiono riproporre queste logiche e non tacere di fronte ad essi.

Come diceva Martin Luther King: “Non ho paura tanto delle parole dei violenti, quanto del silenzio degli onesti.”

E soprattutto ritengo indispensabile continuare ad essere propositivi, mostrando in modo chiaro ed inequivocabile il valore della diversità in ogni sua forma!

 

» Per quanti pensano che il razzismo in Italia sia “ormai” scomparso…

Ora

E’ un’altra settimana intensa questa… e io me ne rallegro!

Lunedì ho tenuto dei laboratori nelle scuole superiori a Cervia, all’interno del progetto “Testimoni privilegiati” promosso dal Comune.

Domani sarò a Reggio Emilia per un corso di formazione in un Istituto grafico sulla “comunicazione inclusiva” per la favorire l’accessibilità ai disabili, promosso dal CRIBA.

IMG_4710.jpgVenerdì mattina a Ravenna una troupe di “Report” verrà a incontrarmi per una breve intervista e per alcune riprese di un mio laboratorio sull’intercultura e contro il razzismo all’interno del progetto “Chi è straniero?” promosso dalla Casa delle Culture.

Sabato sarò a Napoli per il “Forum dei Comuni per i Beni Comuni“, promosso dal sindaco Luigi De Magistris come punto di incontro fra amministratori, movimenti, associazioni, cittadine e cittadini.
Un momento di confronto sul tema della “difesa dei beni comuni, fondamento irrinunciabile dei diritti, ma anche pilastro della democrazia partecipativa”.

Domenica a Roma per partecipare alla prima riunione dell’Assemblea Federale di “Ecologisti e Reti civiche-Verdi Europei“, il percorso che sto seguendo concretamente da un anno e mezzo, come evoluzione dell’appello “Abbiamo un sogno” che lanciai in rete nell’agosto 2010.

Continuo il mio impegno con passione ed entusiasmo, passo dopo passo, anche rispetto alle difficili sfide del nostro tempo che a volte sembrano più grandi di noi, perché come canta Jovanotti nella bellissima canzone “Ora”:

     “non c’è montagna più alta di quella che non scalerò,
      non c’è scommessa più persa di quella che non giocherò… ora!”

L’unica, originale, piadina romagnola!!! O per caso era un kebab?!?

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La piadina per noi romagnoli è quasi un simbolo. Oltre che una sana abitudine.

 

piadina.jpgDel resto, penso che nessuno in Italia avrebbe dubbi nell’identificare proprio in Romagna la zona d’origine della piadina, che i più pignoli indicano nell’Appennino tra Forlì, Cesena e Rimini, pur essendo molto diffusa anche nel ravennate e nel resto della Romagna, fino a sconfinare nel Montefeltro, nella provincia di Pesaro e Urbino e nella Repubblica di San Marino.

 

Eppure lo studio dell’etimologia del termine può riservarci simpatiche sorprese:

i più riconducono il termine piada (in dialetto piê, pièda, pìda) al greco πλακούς, focaccia. Originariamente, in effetti, è una schiacciata lievitata e ben condita cotta nel forno: come tale è citata nel 1371 nella Descriptio Romandiole.

In seguito (dal Cinquecento all’Ottocento), mentre assume la forma attuale, altro non è che un surrogato del pane confezionato con ingredienti per lo più vili e impanificabili (spelta, fava, ghianda, crusca, sarmenti, mais, ecc.).

La piadina di farina di grano è relativamente recente, così come le sue varianti ricche: la piadina unta, quella sfogliata e quella fritta.

 

Kebab.jpgAltri tuttavia hanno messo in evidenza la somiglianza con i termini utilizzati in altre lingue per indicare piatti simili, nell’ambito di tutti i paesi che ruotavano nell’orbita dell’Impero Romano d’Oriente (tra i quali anche la Romagna, ovviamente).

È facile pensare, nel caso della piadina, al pane in uso presso l’esercito bizantino, di stanza per secoli in Romagna, nel nord delle Marche e nella valle umbra attraversata dalla via Flaminia.

 

Basti pensare all’ebraico פת (pat), che significa “pagnotta” o “pezzetto”, o ancor più al termine “pita” (come פיתא), che esiste ancora nell’aramaico del Talmud babilonese ed indica il pane in generale.

 

E guarda caso è proprio il termine usato ancora oggi in diversi paesi per indicare il pane del kebab!

 

Se vuoi continuare questo viaggio dentro al cibo e approfondire il tema dell’incontro con altre culture attraverso di esso, puoi leggere questo post che scrissi qualche tempo fa.

24 ore senza di “noi”…

immigrati.jpgQuarta elementare. Uscita scolastica.

Alcune bambine chiedono all’insegnante di andare in un bagno per bere.

Ad un certo punto, fra le altre, beve anche una bambina marocchina. Carina, pulita, educata.

Dopo di lei tre compagne di classe preferiscono, davanti ai suoi occhi, bere dal bidet piuttosto che prendere l’acqua dallo stesso rubinetto dove lei ha appena bevuto.

Mi viene la pelle d’oca solo ad immaginare quella scena agghiacciante!

E c’è ancora qualcuno che pensa che il razzismo sia un problema ormai risolto…

duomo-mi_590-490.jpgIeri avevo pensato di scioperare, unendomi alle manifestazioni del cosiddetto “popolo giallo”, gli immigrati regolari che in tutta Europa non vogliono più essere invisibili e chiedono integrazione e rispetto, contro ogni forma di razzismo.

Avevo pensato di non andare a scuola.

In fin dei conti avrei saltato “solo” due incontri sulla pace e sull’intercultura, in programma con altrettante classi. Ne faccio comunque centinaia ogni anno.

Ma ripensando a quella scena, alle bambine in gita, a come avrà mai potuto sentirsi quella bambina marocchina davanti a quel gesto delle sue compagne, ho preferito non perdere neppure un’occasione di incontrare dei ragazzi, per cercare di offrire loro una prospettiva diversa rispetto a quella che quotidianamente la tv ci presenta, alimentando paure, pregiudizi, divisioni.

E’ mai possibile che sia così difficile capire che potremmo vivere tutti insieme, in pace, nella diversità?

Io non mi stancherò mai di mostrare questa possibilità attraverso tanti esempi concreti, presentando modelli positivi, educando al rispetto, cercando sempre di promuovere nei ragazzi una coscienza critica e risvegliare in loro la meraviglia dello stupore, la bellezza della diversità, la gioia della scoperta.

Educare, secondo me, è il mestiere più bello del mondo!!!

E non credo che si semini mai invano. Certo, ogni frutto germoglia a suo tempo, è inutile fargli fretta. Ma è necessario prendersi cura delle piante, non dimenticare mai di annaffiarle e talvolta anche potare i rami secchi (leggi “pregiudizi”), se vogliamo che crescano rigogliose e sane.

Sono certo che i nostri nipoti ricorderanno tutte le assurdità di oggi con quella stessa sensazione con cui noi ora ricordiamo il muro di Berlino, i campi di concentramento nazisti o l’apartheid in Sud Africa…