Mio fratello Osama

Devo sentirmi molto strano se proprio non riesco a festeggiare per la morte di Osama bin Laden? Gioire per un omicidio non mi pare molto lontano da quei video in cui lui si compiaceva per le vittime degli attentati.

Mi pare che si confonda la “vendetta” con la “giustizia” e in questo si finisce quasi per condividere la sua stessa morale, che ci ha abbruttiti un po’ tutti in questi dieci anni.

america-in-festa.jpgNo, io proprio non festeggio e anzi mi dispiace di vedere che alla fine – in un certo senso – lui ha vinto, perché è riuscito ad imporre la sua visione delirante a milioni di persone nel mondo.

Mi direte che se io avessi perso un familiare in un attentato la penserei diversamente… è probabile.

Ma con lo stesso principio dovremmo allora essere favorevoli alla pena di morte per ogni omicida, mentre io lo reputo un abbassarsi al suo stesso livello, un condividere nei fatti ciò che a parole si condanna.

Nel film Rapa Nui c’è una scena che mi ha colpito molto in cui dicono al protagonista: “Sei diventato quello che volevi combattere”.
Se davvero siamo diversi da come lui ci immaginava, dimostriamolo con i fatti!

So di dire una cosa molto impopolare, ma io oggi sono in lutto, è morto un mio fratello, per quanto peccatore fosse…

 

» Cosa è importante?»» Fraternità umana universale

 

Puoi commentare questo articolo anche nel mio blog sul Fatto Quotidiano, dove ha alimentato un grande dibattito, con quasi 300 commenti…

Ho ancora negli occhi…

Sono rientrato tre giorni fa dal Burkina Faso e -come sempre mi accade- mi ritrovo ancora abbastanza spaesato e mi chiedo cosa ci faccio qui.

Sarà per i 30 gradi di differenza, o forse per il brusco cambio di colori che dal rosso della terra e dall’azzurro dei cieli africani hanno lasciato posto ad un grigio che fonde all’orizzonte l’asfalto con la nebbia.

4129166280_b4613f148e.jpgQuello che è certo è che ho ancora negli occhi gli sguardi persi dei minatori vicino ad Essakane, in pieno Sahel, che cercano l’oro in buche scavate a mano fino a 50 metri di profondità, in un’angosciante roulette russa fra la ricchezza e la morte, dentro a gallerie che in ogni momento potrebbero aprirsi a vene del prezioso metallo come chiudersi seppellendo tutto e tutti.

Ho ancora negli occhi la gioia delle donne nel villaggio di Andega, che esplode danzando per il pozzo che abbiamo appena realizzato.

andega_danze.jpg

Un pozzo che dà vita e alleggerisce il loro carico di lavoro quotidiano, liberando tempo prezioso per prendersi cura dei figli, avviare piccole attività di artigianato o anche solo per un po’ di raro quanto sacrosanto riposo.

Ho ancora negli occhi la disperazione, avvolta da un nugolo di mosche, e nelle narici l’odore nauseabondo che emanava la gamba in cancrena di un ragazzo di appena 28 anni che ha bussato alla nostra porta a Ouagadougou, per chiederci disperato il costo del trasporto per poter rientrare a morire al suo villaggio, accanto alla sua famiglia e ai suoi due figli ancora piccoli.

E ho nitida negli occhi la luce della speranza che si è riaccesa in lui quando gli abbiamo detto che avremmo fatto di tutto per curarlo e da subito abbiamo iniziato ad occuparcene concretamente!

4129173694_979ba6d471.jpgHo ancora negli occhi la soddisfazione e la determinazione degli orticoltori di Tangzougou in mezzo alla distesa immensa dei loro orti, dove ancora pochi anni fa non c’erano che erba secca e terra arida, mentre ora crescono frutti.

E mille altre immagini fortissime che si sono impresse nel mio animo come su una pellicola e che certamente non si cancelleranno in pochi giorni…

4129175458_2339b98789.jpgTutto questo mi riecheggia dentro e mi parla del diritto ad un lavoro degno e alla salute, di acqua come diritto universale, di solidarietà, cooperazione e politiche volte all’autosufficienza… della necessità di liberarsi da logiche di sfruttamento e dipendenza dall’estero in un cammino di giustizia internazionale e di fraternità universale.

E così mi ricordo perché mi appassiona tanto il mio impegno nei campi della formazione, dell’informazione e della politica intese come servizi alla comunità e partecipazione alla creazione di un futuro migliore per tutti.

Mi ci vorrà ancora qualche giorno, certo, ma ora mi sento un po’ meno spaesato di prima.

Haiti: uccisi dalla povertà più che dal terremoto

I giorni scorsi, come tanti, ho dato un piccolo contributo di solidarietà per le popolazioni di Haiti, in questo momento così tragico della loro storia.

 

L’ho fatto attraverso l’Associazione Yele, consigliatami da Jacopo Fo che li conosce da tanti anni e con i quali lui ha collaborato per alcuni progetti in passato.

 

edifici_crollati1265104999.jpgUn aiuto, per quanto piccolo, può essere davvero determinante in questi momenti, e lo sarà ancor più fra poche settimane quando i riflettori delle tv si spegneranno su questo dramma e molti se ne dimenticheranno.

 

Ma la solidarietà non è sufficiente e io non posso accettare che di fronte ad una simile catastrofe passi l’idea che si tratti semplicemente di una fatalità naturale!

 

Occorre dire in modo chiaro che moltissimo dipende dalle tecniche di costruzione degli edifici e dai materiali utilizzati!

 

Lo hanno dimostrato le oltre 300 vittime del terremoto in Abruzzo, con un sisma di magnitudo 5,8 della scala Richter, mentre nel giugno del 2008, quando un sisma d’intensità 7,2 della scala Richter -esattamente come quello di Haiti- colpì il nord est del Giappone, 29.000 abitazioni collocate nella zona colpita rimasero senza elettricità, ma le vittime furono solo sei, e i feriti duecento.

 

Com’è possibile questo? Si tratta di prevenire. Nella costruzione degli edifici, per esempio, i giapponesi ricorrono a cuscinetti, sistemati alle fondamenta e tra un piano e l’altro in modo da attutire i colpi, e all’acciaio elastico e alla fibra di carbonio per i pilastri delle strutture. In tal modo, il rischio di crollo risulta estremamente ridotto.

 

Insomma le conoscenze e le tecniche esistono già, e possono non essere affatto costose. Forse non tutti sanno che in Trentino è stata realizzata una casa in legno antisismica alta 7 piani che può resistere senza danni a un sisma di magnitudo 7.2 della scala Richter.

 

Guardate un po’ questo filmato davvero impressionante:

 

 

Ad Haiti la catastrofe è stata disumana, perché disumane erano già le condizioni di miseria in cui la popolazione di questo poverissimo paese era costretta a vivere. La riprova è il fatto che le case dei ricchi non sono affatto crollate!

 

Ma vorrei porre alcune domande che mi paiono di assoluto buonsenso: se le montagne di soldi che si spenderanno ora (secondo la FAO servono subito 700 milioni di dollari!!!) per portare soccorsi e ricostruire si fossero utilizzate prima, non si sarebbe forse potuto risparmiare ed evitare un disastro simile?

Se il debito estero di questo Paese fosse stato cancellato prima, come semplice gesto di giustizia, anziché ora, con ipocrita compassione, non si sarebbe forse liberata la popolazione di Haiti da un ennesimo macigno che ha gravato in tutti questi anni sulla possibilità di costruire dignità e autonomia?

 

Credo in tutta sincerità che l’aiuto più consistente che ho portato ad Haiti, nel mio piccolo, non sia tanto nella piccola donazione che ho potuto fare l’altro giorno, quanto nelle centinaia di incontri che ho tenuto in questi anni, nell’attività di formazione e informazione in cui ho sempre ripetuto che esistono percorsi realizzabili che possono liberare l’umanità dalla fame, dalla miseria, dall’analfabetismo, dal lavoro minorile… con costi ridottissimi -rispetto ad esempio alla follia delle spese militari– e nell’interesse di tutti, anche dei paesi ricchi!

 

un-mondo-senza-poverta.jpgAd Haiti il terremoto non avrebbe creato una simile devastazione se non avesse trovato una fedele alleata a sostenerlo: la povertà.

E’ contro di essa che occorre lottare, nella consapevolezza che noi possiamo davvero cancellarla dalla storia e relegarla nei libri.

 

Come ha detto il grande Muhammad Yunus esprimendo il suo sogno ad occhi aperti nel suo ultimo libro “Un mondo senza povertà”:

“Relegheremo la povertà nei musei. Ce ne sarà uno in ogni Paese, ci porteremo i bambini in visita: resteranno orripilati scoprendo la condizione infame che così tanti essere umani hanno dovuto sopportare per così lungo tempo e condanneranno i loro progenitori che hanno permesso tutto ciò”.


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