Educare, ovvero farsi specchio per aiutare a riconoscere i talenti


«Non conosce nessuna cultura chi conosce solo la propria cultura»
scriveva il grande antropologo Claude Levi Strass, rispetto ai rapporti fra i popoli, perché solo attraverso l’incontro con l’altro posso scoprire me stesso, sia come membro di una cultura, sia come persona.

talenti,educazione,formazione,einstein,valore,pesce,albero,regola d'oro,diversità,specchio,diritti bambini,sogno,solidarietà,giustizia,paceDa questo deriva il valore imprescindibile della diversità.

A volte, durante i miei laboratori con i ragazzi, scrivo con un gessetto bianco sul muro bianco, per far capire loro in maniera immediata che senza diversità non c’è nulla e che, così come il gessetto bianco, per rivelare se stesso, ha bisogno di un muro di un colore diverso, qualunque altro colore, allo stesso modo anche noi, per scoprire noi stessi, abbiamo bisogno dell’incontro e del confronto con l’altro, con la diversità in ogni sua forma.

Sostengo spesso durante i corsi di formazione per insegnanti, educatori, genitori e mediatori culturali, che il grosso del lavoro di un “educatore”, in senso lato, non è tanto sul cosiddetto “educando”, quanto su se stesso.

Noi siamo specchi in cui i nostri ragazzi possono scoprire se stessi, i propri limiti e i propri talenti.

La sfida è dunque quella di cercare di essere il più possibile specchi fedeli, puliti, in cui l’altro possa davvero scoprirsi per quello che è.

Da questa scoperta, a mio avviso, dipende in larga parte la sua possibilità futura di essere felice e di “divenire membro utile della società”, come recita la Dichiarazione dei Diritti dei Bambini.

Ognuno di noi infatti è un miracolo e può fare qualcosa (non tutto) in modo meraviglioso, straordinario. Si tratta di capire però quale sia, esattamente, questo “qualcosa”.

Quando incontriamo una persona che l’ha scoperto ce ne rendiamo subito conto: è una testimonianza vivente del “sogno di Dio” per gli uomini.

Noi, infatti,non siamo stati creati per vivere nella tristezza e nella mediocrità, ma per compiere miracoli ed essere felici!

20110731-camminacque.jpgGesù non solo cammina sulle acque, ma chiede ai suoi discepoli di fare lo stesso; e loro lo fanno, almeno per un po’, per qualche passo (quanto basta a dimostrare che è possibile) prima che il mare increspi, la paura prenda il sopravvento sui loro cuori ed inizino a sprofondare nell’acqua.

Ovviamente Lui li trae in salvo, ci mancherebbe altro, però quasi li sgrida e chiede loro sconsolato: “ma cosa devo fare ancora perché voi capiate?”.

Noi cristiani siamo chiamati a vivere questa dimensione, che è tutto fuorché mediocre, banale, insipida, noiosa, insulsa… solo per usare alcuni degli aggettivi che spesso sentiamo pronunciare o che respiriamo nell’aria, purtroppo anche fra i più giovani.

Io credo che il “mestiere” dell’educatore – se tale si può definire – sia uno dei più belli al mondo! Perché può aiutare i ragazzi a far nascere le loro idee, a maturare la consapevolezza, in una parola a “tirare fuori” il meglio di sé.

Anche perché, se ci pensiamo bene, tutti i valori, i diritti e i doveri sono già nell’animo umano, si tratta solo di tirarli fuori.

Peccato che noi abbiamo trasformato l’educazione, distorcendone la natura originaria, nell’esatto opposto: “mettere dentro”, riempire di nozioni e conoscenze, spesso inutili perché prive di senso agli occhi di chi le apprende.

Io credo che non abbiamo bisogno di mettere dentro ad un bambino il valore della giustizia, ce l’ha già innato. Provate a dividere delle caramelle fra due bambini in modo iniquo e verificate la reazione.

Anche il valore della libertà è innato, e non solo nell’uomo ma anche in tutti gli animali. Provate ad aprire la porta della gabbia ad un uccellino.

Allo stesso modo anche tutti gli altri valori fondamentali, dalla pace alla solidarietà, dall’amore alla fraternità, sono già dentro all’animo umano fin dalla più tenera età. Compito dell’educazione dovrebbe essere allora quello di tirarli fuori, e coltivarli, per evitare che vengano sepolti da una valanga di altri disvalori che – questi sì invece – vengono imposti da fuori, spesso in modo subdolo e talvolta non senza evidenti secondi fini.

Ho scritto poco sopra, e voglio ribadirlo, che a mio avviso non solo i valori sono innati, ma anche i diritti e i doveri che ne conseguono.

Chiedo sempre ai bambini che incontro: «Quand’è che vi sentite bene?».
Mi rispondono: «Quando mi sento ascoltato» oppure «Quando mi sento rispettato», «Quando mi sento accolto»…
«Allora – rispondo io – forse dovremmo imparare ad ascoltare gli altri, a rispettarli, ad accoglierli, non credete?».

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Da questa semplicissima riflessione sul ben-essere, che poi sviluppiamo e approfondiamo insieme, nascono spontaneamente quella sui diritti e di conseguenza anche sui doveri e normalmente proprio in questo modo definiamo insieme le regole di convivenza, che tutti -anche gli adulti- dovranno rispettare.

La riflessione sull’universalità della cosiddetta “regola d’oro”, che ritroviamo in ogni epoca, in ogni cultura, in ogni grande religione del pianeta, ci porta a maturare quel senso di fraternità universale che a mio avviso rappresenta il cuore del messaggio evangelico, che abbatte ogni frontiera e apre alla gratuità di un amore che non ha confini e che può farsi storia per trasformarla concretamente. Perché come ha detto anche padre Raniero Cantalamessa: «Noi non siamo qui per andare in Paradiso, ma siamo qui per costruirlo il Paradiso!» e questo si può farlo ogni giorno, a partire dalle nostre relazioni quotidiane, in molti modi diversi.

Di sicuro però, se avremo saputo e potuto scoprire i nostri talenti, per saperli valorizzare, sarà molto più facile poter vivere questo cambiamento, nella gioia e col piacere della meraviglia che i bambini, se solo sappiamo ascoltarli, cercano ogni giorno di insegnarci.

 

(pubblicato nel numero di febbraio della rivista francescana “Messaggero Cappuccino“)

Finalmente… “vada a bordo, cazzo!”

Come le corde di uno strumento musicale possono vibrare per “risonanza”, anche senza bisogno di essere toccate, così le corde del nostro cuore possono vibrare se nell’aria si muove qualcosa vicino al nostro sentire.

In questo senso è fondamentale saper cogliere quegli episodi che acquisiscono un valore simbolico, in grado di far risuonare il sentire collettivo, perché essi indicano in qualche modo i segni dei tempi.

Vada-a-bordo-frase-Costa-Concordia.jpgLa frase “vada a bordo, cazzo!” pronunciata dal capitano De Falco al comandante Schettino, in pochi giorni è divenuta un vero e proprio simbolo del nostro momento storico.

Sono nati spontaneamente gruppi con questo nome su Facebook e Twitter, la frase è rimbalzata immediatamente sui giornali, in tv, nei blog, nelle piazze…

Si sono stampate persino le magliette!!!

A me pare che essa segni metaforicamente un importate spartiacque, il punto di un risveglio etico collettivo, uno scatto di orgoglio e dignità, atteso da tempo, che non ha nulla a che vedere con l’eroismo -evocato a mio avviso impropriamente- ma semplicemente con una sacrosanta voglia di normalità! Una normalità che per troppi anni ha abbandonato il nostro paese e di cui ora si sente ovunque una profonda sete. Nulla a che fare con l’aspetto economico della crisi. Si tratta piuttosto di un moto d’animo, di una indignazione, di un richiamo alla responsabilità e al dovere morale, che finalmente hanno vinto l’inerzia prodotta da quel senso di rassegnazione ed impotenza su cui erano proliferati i tanti “Schettini” del nostro paese.

Ho la sensazione che si sia raggiunto, collettivamente, quel famoso “fondo” che da tempo aspettavamo di toccare per poter finalmente incominciare a risalire!!! E’ come se un intero paese si fosse risvegliato dal torpore e ora si stesse guardando allo specchio, un po’ spaventato di sé certamente, ma sicuramente con il desiderio di sciacquarsi la faccia per incominciare una nuova giornata.

“Vada a bordo, cazzo!” è la frase che da oggi ognuno di noi può gridare in faccia a chiunque non compia responsabilmente il proprio dovere, ovunque, in qualunque momento, come un monito che ora ha acquisito la forza di un richiamo non solo individuale ma collettivo!

Ma attenzione, perché dentro ciascuno di noi c’è un po’ di Schettino e un po’ di De Falco. Impariamo dunque a riconoscerli e a non rimanere neutrali di fronte ad essi. E soprattutto non torniamo ad adagiarci in quella rassegnata autocommiserazione che per anni ha massacrato il nostro paese.

Se dovesse rendersi necessario, troviamo il coraggio di guardarci negli occhi, davanti allo specchio, e gridarlo anche a noi stessi: “Vada a bordo, cazzo!”