Il tempo liberato

EFM copertina 1 2024In questo numero del nostro Magazine riflettiamo sul difficile rapporto con il “tempo”, che sembra sempre mancare: questo è un problema che tutti sentiamo e del quale non sappiamo proprio come liberarci.

Un’ottima sfida da affrontare al fianco dell’ecologia, che, come vedremo insieme negli articoli del focus, può svelarci una serie di strategie efficaci per “liberare tempo”.

Troverete anche due importanti novità: la prima è un restyling grafico del Magazine che non è solo estetico ma punta anche a migliorare la fruibilità della rivista rispetto a interattività e podcast.

La seconda invece riguarda la vision del nostro Piano editoriale che intende – ancor più di quanto già non fosse – presentare l’ecologia come un’opportunità da cogliere, anziché l’ambiente come un problema da risolvere.

Ospitiamo anche un’intervista esclusiva a Marina Ponti, Global Director del progetto delle Nazioni Unite SDG Action Campaign.

A questo link trovate tutti i numeri usciti della Rivista.

 

Dalle immagini di quei bambini, una possibilità

bimba-siriana-scudi

Un giorno la storia ricorderà come furono le immagini di quei bambini ad aprirci gli occhi e a cambiare il corso delle cose.

L’immagine straziante della bimba in lacrime, con gli occhi terrorizzati, spinta dal padre oltre il filo spinato al confine con l’Ungheria, con uno sforzo che solo l’amore di un padre può rendere possibile.

L’immagine della piccola siriana che gattona in pigiama con i capelli rossi, spettinati, davanti al cordone dei poliziotti schierati con gli scudi alla frontiera turca, interrogando le loro coscienze e rendendo evidente e manifesta all’Europa e al mondo intero l’assurdità di quella situazione.

E soprattutto l’immagine lancinante del piccolo Aylan, di appena tre anni, annegato sulla spiaggia di Bodrum mentre fuggiva da Kobane, ritrovato senza vita a faccia in giù, tra la schiuma delle onde.

Migrant boat accident in Turkey

Come loro decine di migliaia di altri bambini hanno vissuto e stanno tutt’ora vivendo esperienze che a quell’età nessun bambino dovrebbe mai conoscere, neppure vedendole in un film!

Infatti i nostri bambini, qui in Italia, rimangono molto scossi da quelle immagini che vedono in tv e ne chiedono spiegazioni a noi “grandi”, generando un forte senso di imbarazzo e spesso un misto fra rabbia e vergogna.

Eppure io credo che proprio a quelle foto, alla loro straordinaria forza espressiva e alla capacità di immortalare l’attimo, si debba una possibilità di riscatto che ora si apre per la nostra vecchia e stanca Europa e per il mondo intero.

Così è già stato in altre occasioni della storia, basti pensare alla foto in bianco e nero della bimba che fugge nuda e terrorizzata dal bombardamento col napalm, divenuta l’immagine simbolo della guerra in Vietnam, che contribuì a cambiare la sensibilità e a risvegliare le coscienze della popolazione su quanto stava accadendo.

(Oggi Kim Phuk -questo il nome della bambina che all’epoca della foto aveva 9 anni- vive in Canada, è ambasciatrice della pace per l’Unesco e dirige una fondazione per aiutare i bambini vittime di guerra.)

Un possibilità, dicevo, perché di questo si tratta. Uno spiraglio di speranza, uno spazio di umanità ritrovata che abbatte i più comuni pregiudizi e stereotipi, cancella in un sol colpo le sterili divisioni fra di noi e ci richiama a profondi interrogativi etici oltre che politici ed economici.

Aylan-roccaforte-EuropaMesso da parte per un attimo l’egoismo cinico di chi vuole arroccarsi nel proprio benessere fondato sui privilegi di una parte di mondo che vive -letteralmente- sulle spalle di milioni di poveri, sfruttati nella manodopera e nelle materie prime (pare ancora questa l’unica ricetta per avere prodotti a così basso costo), ci si rende improvvisamente conto che non sarà in alcun modo possibile fermare la spinta della vita verso la vita. Così è sempre stato, così sarà sempre.

Certo, possiamo rinviare i problemi, ma non in eterno. E a forza di rinviarli, ora stanno venendo al pettine, tutti e tutti insieme, al punto che persino il segretario generale dell’Onu è stato costretto a riconoscere che la situazione della Siria e di tutto il medio oriente è fuori controllo. Un atto di onestà, tutto sommato, per nulla scontato nel suo ruolo.

Non esistono muri, per quanto alti ed elettrificati, che potranno contenere la ricerca di vita da parte di milioni di persone che fuggono da fame, povertà, guerre e persecuzioni.

Assolutamente inutile dire che anche qui c’è la crisi, che non c’è posto per tutti, che non troveranno lavoro perché non ce n’è neppure per noi italiani!

Quello da cui fuggono è ben altra cosa rispetto a ciò che noi chiamiamo “crisi” e le immagini che ci arrivano di incredibile devastazione della Siria così come quelle di molte altre zone disastrate del pianeta ce lo ricordano inequivocabilmente, richiamandoci a un dovere etico di accogliere i richiedenti asilo politico. Ma questo non basta.

L’unica cosa che si può fare -sempre la stessa che ricordiamo da anni- per andare alla radice del problema, è intervenire seriamente per migliorare le condizioni di vita nelle “periferie” del mondo (ormai non si può più parlare di “sud” in una situazione in cui la povertà si presenta a macchie di leopardo), in modo che ciascuno possa vivere dignitosamente e serenamente a casa propria, con la sua famiglia, con i suoi amici… e il viaggio, com’è per noi, possa tornare ad essere una scelta libera e non forzata.

“Nessuno lascia la propria casa, se la propria casa non è la bocca di uno squalo” ha scritto nitidamente Warsaw Shire.

Fra l’altro, conti alla mano, ci costerebbe infinitamente meno “aiutarli a casa loro” (un’espressione che risulta ormai sgradevole perché banalizzata dall’ipocrisia di chi l’ha pronunciata strumentalmente), investendo nel benessere dei paesi poveri, piuttosto che gestire queste masse di profughi in fuga dalla disperazione.

Come ci ricorda l’UNDP (United Nation Development Program) basterebbe meno dell’1% della ricchezza mondiale (una cifra pari a 80 miliardi di $ all’anno) per assicurare a tutti i fratelli del pianeta i cosiddetti bisogni essenziali: cibo, acqua potabile, istruzione, sanità di base e un alloggio degno di questo nome. E così facendo, fra l’altro si toglierebbe ossigeno al terrorismo, che proprio sulla disperazione e sulla rabbia ha costruito il suo impero.

Invece basta pensare che la sola Germania ha appena deciso di stanziare 6 miliardi di euro per la gestione dell’emergenza rifugiati per capire la miopia delle politiche che per anni hanno pensato di poter gestire gli incredibili squilibri del pianeta come se vivessimo in un mondo non globalizzato.

E’ impensabile infatti che la globalizzazione possa investire tutti gli ambiti dell’esistenza (scambi di merci, di capitali, di informazione e di comunicazione…) fuorché gli spostamenti degli esseri umani. Non si può essere al contempo globalizzati e interdipendenti per quello che ci fa comodo ma indipendenti e isolati per quanto ci risulta sconveniente.

Occorre pensare come se non ci fossero frontiere, è questo l’unico modo per fare scelte lungimiranti -individuali e collettive- capaci di gestire realmente la complessità della realtà e dare risposte concrete ai problemi che possano riportare giustizia e pace nel mondo, l’unico mondo che abbiamo, all’interno del quale si trovano anche l’Europa e l’Italia.

Pensare di potersi salvare da soli è pura ingenuità. O ci salveremo tutti e tutti insieme oppure tutti insieme andremo a fondo, come i passeggeri di una nave.

Chi sogna che miliardi di persone resteranno a casa propria a morire di fame, sete o malattie che si potrebbero curare con pochi euro di vaccini, guardando in tv la nostra ostentata opulenza, forse ha visto troppi film di fantascienza.

In un mondo in cui -come ci ricorda l’ONG inglese OXFAM- l’1% della popolazione controlla il 46% della ricchezza e addirittura gli 85 miliardari più ricchi del pianeta hanno una ricchezza pari a quella di 3,5 miliardi di persone, sembra sempre più attuale il monito di padre Alex Zanotelli che già qualche anno fa scriveva: “I poveri non ci lasceranno dormire!”

Gli squilibri globali infatti sono come un boomerang e se a prima vista possono apparirci -egoisticamente parlando- vantaggiosi, ad un’analisi più approfondita non è difficile capire che i traffici di droga che alimentano le mafie, la nostra disoccupazione dovuta alla progressiva delocalizzazione della produzione, i conflitti e quindi le folli spese in armi che questi ci costano, e da ultime le migrazioni forzate di milioni di disperati ne sono le ovvie conseguenze.

Al contrario, esattamente per le stesse ragioni, un miglioramento nelle condizioni di vita dei nostri fratelli più svantaggiati porterebbe grandi benefici anche per noi: si aprirebbero immensi mercati potenziali come sbocco per i nostri prodotti, non subiremmo più la concorrenza invincibile dei più poveri sul piano della manodopera, potremmo ridurre enormemente le spese globali in armi che sono raddoppiate in 20 anni e nel 2014 hanno sfiorato i 1.800 miliardi di dollari (cioè oltre 20 volte quanto basterebbe per cancellare la povertà dal pianeta e assicurare a tutti una vita dignitosa!).

Le foto di quei bambini, come dicevo, ci offrono una possibilità. Una possibilità concreta di fermarci a riflettere e impegnarci tutti per un futuro diverso, più equo, pacifico e giusto. Un futuro in cui i nostri figli non dovranno più chiederci il perché di tanta inutile sofferenza.

Sta a noi sapere cogliere questa possibilità, facendo sì che quel dolore non sia stato vano.

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I diritti umani sono universali?

Esattamente 63 anni fa, il 10 dicembre 1948, veniva firmata a Parigi la Dichiarazione universale dei Diritti umani, un documento la cui redazione fu promossa dalle Nazioni Unite, appena nate, perché avesse applicazione in tutti gli stati membri.

Da allora molti passi avanti sono stati fatti, ma il cammino per la piena realizzazione di questa Dichiarazione, come sappiamo, è ancora lungo e richiede un impegno da parte di ciascuno di noi.

Per ricordare questo storico evento, vorrei oggi condividere una breve riflessione tratta dal mio libro “Non è vero che tutto va peggio“, scritto insieme a Jacopo Fo:

“Si è molto discusso in questi anni sull’universalità dei diritti umani, sostenendo che essa sarebbe solo presunta poiché essi sarebbero viziati alla nascita e non esprimerebbero che la visione di una sola cultura, quella “occidentale”.

Eleanor_Roosevelt_and_Human_Rights_Declaration.jpgIo non condivido questo dubbio perché ritengo che i diritti umani vengano ancora prima del livello culturale; essi rappresentano molto semplicemente i più elementari “bisogni” dell’uomo, e sono dunque validi a qualunque latitudine egli si trovi e in qualunque epoca egli viva.

Credo che questa riflessione di Umberto Eco possa risultare illuminante al riguardo:

“Siamo animali a postura eretta, per cui è faticoso rimanere a lungo a testa in giù, e pertanto abbiamo una nozione comune dell’alto e del basso, tenendo a privilegiare il primo sul secondo. Parimenti abbiamo nozioni di destra e di sinistra, dello star fermi o del camminare, dello star ritti o sdraiati, dello strisciare o del saltare, della veglia e del sonno. Siccome abbiamo degli arti, sappiamo tutti cosa significhi battere una materia resistente, penetrare una sostanza molle o liquida, spappolare, tamburellare, pestare, prendere a calci, forse anche danzare.
La lista potrebbe durare a lungo, e comprende il vedere, l’udire, mangiare o bere, ingurgitare o espellere. E certamente ogni uomo ha nozioni su cosa significhi percepire, ricordare, avvertire desiderio, paura, tristezza o sollievo, piacere o dolore, ed emettere suoni che esprimano questi sentimenti.
Pertanto (e già si entra nella sfera del diritto) si hanno concezioni universali circa la costrizione: non si desidera che qualcuno ci impedisca di parlare, vedere, ascoltare, dormire, ingurgitare o espellere, andare dove vogliamo; soffriamo che qualcuno ci leghi o ci costringa in segregazione, ci percuota, ferisca o uccida, ci assoggetti a torture fisiche o psichiche che diminuiscano o annullino la nostra capacità di pensare.
Dobbiamo anzitutto rispettare i diritti della corporalità altrui, tra i quali anche il diritto di parlare e pensare. Se i nostri simili avessero rispettato questi ‘diritti del corpo’ non avremmo avuto la Strage degli Innocenti, i cristiani nel circo, la notte di San Bartolomeo, il rogo per gli eretici, i campi di sterminio, la censura, i bambini in miniera, gli stupri della Bosnia”.


(Umberto Eco, In Che cosa crede chi non crede?, Atlantide Editoriale, Roma 1996; ora in Cinque scritti morali, Bompiani, Milano 1997.)


Ma anche facendo un’analisi antropologico-culturale, che vada al di là dei più banali stereotipi sulle diverse culture, scopriamo che i loro valori di fondo sono sempre gli stessi.

Quella che segue è la conferma che l’etica laica di cui parla Umberto Eco, alla base dei diritti umani, è patrimonio comune di tutti i popoli!

regola d'oro,intercultura,religioni,diritti umani,fedi,etica universaleBuddhismo (Udanavarga 5, V,18)
Non offendete gli altri con quello che offende pure voi.

Cristianesimo (Matteo 7,12)
Tutto quello che volete che gli altri facciano a voi, fatelo voi a loro: questa è la Legge ed i Profeti.

Confucianesimo (Analecta XV,23)
Vi è qualche massima che si dovrebbe applicare per tutta la vita? Certamente, la massima della gentilezza amorevole che consiste di non fare agli altri quello che non si vorrebbe venisse fatto a voi

Ebraismo (Talmud)
Ciò che offende voi non fatelo al vostro prossimo. Questa regola riassume tutta la “Torah”.

Induismo (Mahabharata V,1517)
Quest’è il dovere: non fare agli altri quello che se fosse fatto a te, ti darebbe dispiacere.

Islamismo (Detti di Maometto)
Nessuno è un vero credente fino a quando non desidera per il suo prossimo quello che desidera per sé stesso.

Jainismo (Jogashastra II,20)
Nella felicità e nella sofferenza, nella gioia e nel dolore dobbiamo considerare tutte le creature come consideriamo noi stessi, dobbiamo perciò astenerci dall’infliggere agli altri qualsiasi offesa che sarebbe indesiderabile se fosse inflitta a noi stessi.

Sikhismo (Kabir)
Come consideri te stesso, così considera gli altri.

Taoismo (T’ai shan kan Ying p’ien)
Considera il guadagno del tuo prossimo come fosse il tuo guadagno e considera la perdita del tuo prossimo come fosse la tua perdita.

Zoroastrismo(Dadistan-i-dinik XCIV,5)
Solo quella natura è buona che non restituisce agli altri quello che non fa piacere a lei stessa.

Questo tuttavia non significa che dalle varie culture non possano venire contributi anche significativi, complementari alla Dichiarazione dei Diritti dell’Onu.

Un esempio molto interessante è rappresentato dalla Carta Africana dei Diritti dei Popoli, che porta l’attenzione anche sui diritti collettivi, oltre che su quelli dell’individuo e che può dare per questo un’importante contributo non solo a livello del continente ma dell’intero pianeta, dinanzi alle sfide globali che esso si trova ad affrontare, come – ad esempio –la questione dell’acqua come diritto.”


» La memoria, dipinta nella sabbia  » Giornata della memoria: ricordare non basta!
» “Joyeux Noel”: la fraternità umana, oltre le trincee…

Ma chi se ne frega della pace!

di Flavio Lotti
coordinatore nazionale della Tavola della pace

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Domani 21 settembre le Nazioni Unite celebreranno la Giornata Internazionale per la Pace. Uno dei giorni più importanti del calendario dell’Onu.

 

La pace -il principale obiettivo delle Nazioni Unite- è un bene prezioso.

Ne sanno qualcosa le donne e gli uomini che a centinaia di milioni sono ancora intrappolati nella morsa della guerra, della miseria, dell’oppressione, dell’intolleranza e dello sfruttamento.

La pace, com’è noto, è uno dei beni più importanti da cercare, costruire e difendere. Un lavoro per tutti, da fare tutti i giorni.

Ma in Italia non interessa molto.

 

Per noi la pace non è una cosa seria. Ce ne occupiamo solo quando va di moda o non possiamo più farne a meno. Ed è sempre troppo tardi. Non importa se il mondo sta diventando un posto sempre più ingiusto e insicuro. Non importa se veniamo meno alle nostre responsabilità internazionali e manchiamo di curare persino i nostri stessi “interessi nazionali”.

Da noi, la pace non è più in agenda. L’ha cancellata il governo che continua a combattere le sue guerre in Afghanistan e nel Mediterraneo, che ha azzerato l’impegno contro la povertà e per la difesa dei diritti umani. L’ha cancellata la politica che riesce a strumentalizzare anche le più disperate tragedie umane. E l’ha cancellata il mondo dell’informazione, sempre meno attento alla vita delle persone e dei popoli, sempre più dominio esclusivo della politica, della cronaca nera e del gossip.

E se la pace non è un problema, figuriamoci la Giornata Internazionale dell’Onu per la Pace. Domani niente celebrazioni ufficiali, niente programmi speciali. Niente di niente. Come tutti gli altri giorni.

A fare la differenza, domani 21 settembre, ci saranno ancora una volta centinaia di persone, gruppi, associazioni, scuole ed enti locali che si riuniranno in numerose città italiane per ridiscutere e riorganizzare il proprio impegno di pace. Non parole vuote ma idee, piani e progetti da realizzare a scuola e in città, laddove la gente cerca una vita migliore.

 

La pace ricomincia da qui nonostante la censura mediatica e la miopia della politica. La pace ricomincia da qui, dalla passione e dalla creatività di quella gente che alla pace ci crede e dedica il suo impegno quotidiano.

“Perché voi fate proprio quello che ci dite di non fare?”

 

Mi convinco sempre di più, come educatore e come padre di due figli, che in educazione nulla è tanto importante quanto l’esempio, la testimonianza vissuta.

 

I nostri figli non ci ascoltano, ci osservano. E lo fanno costantemente, anche quando noi ce ne dimentichiamo, presi da altre cose.

 

Il lavoro principale di un educatore, e credo anche di un genitore, non è tanto sugli altri quanto su se stesso.

 

La testimonianza coerente mostra il cammino, indica un modello possibile. Indica, ovviamente, non impone…

 

Talvolta però, quando riusciamo ad ascoltare davvero i nostri bambini e ragazzi, la loro sincerità disarmante ci mette a nudo e potremmo dire che sono loro ad educarci, offrendoci una testimonianza che ci interpella e ci costringe a riflettere su noi stessi.

 

Questo dovrebbe valere non solo a livello individuale, ma anche sociale, collettivo. A tale proposito mi ha fatto molto riflettere questo video stupendo che ho trovato in rete e che oggi voglio condividere con voi.

 

Ci mostra una bambina di 12 anni, Severn Suzuki, che nel 1992 zittì il mondo per 6 minuti, in un indimenticabile discorso tenuto davanti alle Nazioni Unite.

 

La profondità e la forza di queste parole possono insegnarci molto ancora oggi!


Mentre Fini rompe con Berlusconi, l’ONU dichiara l’acqua diritto umano!

 

logo_onu.jpgQuesto 28 luglio sarà ricordato come una data storica, molto più importante delle fuggevoli vicende politiche su cui si è concentrata tutta l’attenzione in questi giorni nel nostro paese.

Dopo 15 anni di discussioni, infatti, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato, con 122 voti a favore e 41 astensioni, un documento proposto dal Governo Boliviano che dichiara “L’accesso all’acqua come diritto umano”.

La dichiarazione, pur non vincolante dal punto di vista normativo, sostiene e rafforza le mobilitazioni sociali che in ogni angolo del pianeta contrastano la privatizzazione dell’acqua e la sua consegna nelle mani delle multinazionali.

 

Appare paradossale, tuttavia, che il nostro “amatissimo” Governo abbia votato a favore di questa dichiarazione all’ONU, mentre in Italia sta adottando normative che vanno esattamente nella direzione opposta!

consegna7.jpgProprio in opposizione a queste normative, infatti, 1.400.000 donne e uomini hanno sottoscritto i tre referendum per l’acqua pubblica.

 

Uno straordinario successo che da oggi può contare anche su questa nuova autorevolissima presa di posizione all’ONU.

 

Se il Governo volesse dare un segnale positivo ed invertire la rotta potrebbe approvare una moratoria che blocchi tutti i processi di privatizzazione.
In caso contrario saranno i milioni di “SI” ai referendum della prossima primavera a ridare coerenza tra ciò che si declama all’estero e ciò che si produce in Italia.

Per saperne di più visita il sito del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua