Il tempo è lineare o ciclico? Quale spazio c’è per il cambiamento e il progresso storico? E come fare in modo che le nostre scelte siano sostenibili per l’ambiente? Alcune riflessioni semiserie in prospettiva interculturale…
Davvero non ho più il fisico (quasi io l’avessi mai avuto!): i 24 km della Marcia per la pace Perugia-Assisi mi hanno ridotto ad uno straccio. Dopo diversi giorni ho ancora male alle gambe per la camminata.
Però il mio cuore è leggero e ritorna spesso con grande gioia all’immagine di quell’interminabile e meraviglioso fiume colorato -simbolo della diversità ma anche di un sogno di pace condiviso- dentro al quale ho avuto il privilegio di “nuotare” domenica scorsa.
Abbiamo camminato tutti insieme, con gli amici del Coordinamento operativo di “Ecologisti e Civici“, quasi a voler tradurre in realtà la metafora del “cammino comune” che da diversi mesi ci accompagna. Ed è stato davvero bello!
Dico spesso che non importa da dove veniamo, ma dove insieme vogliamo andare! E voglio aggiungere che è decisivo anche “come” vogliamo arrivarci.
Non credo infatti nelle scorciatoie, credo nel dialogo, nella coerenza, nella trasparenza, in un paziente impegno per unire e insieme costruire il cambiamento. E ho imparato che tutto questo può anche essere un grande divertimento!
Chi ha inventato il detto odioso “prima il dovere e poi il piacere” ?!?
Perché dobbiamo scindere le due cose? Perché il dovere non può essere anche un profondo piacere?
La storia della cicala e della formica è una balla cosmica.
Se non riusciamo a vivere ogni momento della nostra vita come se fosse l’ultimo, se non riusciamo a divertirci anche per le piccole cose, se non trasformiamo ogni gesto e ogni parola in una meraviglia allora ditemi voi: cosa siamo vivi a fare?
Voglio concludere dedicando il mio male alle gambe (e il mio cuore leggero) ad una donna straordinaria che ci ha lasciato pochi giorni fa, Wangari Maathai, che attraverso il suo esempio vissuto ci ha invitati tutti a metterci in cammino con speranza!
Dopo gli ultimi incontri a Massa Marittima, ospite della Lista Civica “Massa Comune” e a Colle Val d’Elsa con l’Associazione “il Telaio“, venerdì sono stato a Treviso, su invito del Meet-Up locale “Fare Treviso” sempre per presentare “L’anticasta”.
E’ stata per me l’occasione per scoprire, ancora una volta, tante esperienze straordinarie, fra cui il più grande Gruppo di Acquisto di fotovoltaico d’Italia, che è arrivato a raccogliere, un poco per volta, oltre 700 famiglie!!!
Questo sabato, 26 giugno, mi preparo a partire per Empoli, dove condurrò un Laboratorio sulla comunicazione ecologica ed efficace all’interno del mitico Lentofestival.
Mercoledì 7 luglio alle 20,30 sarò a Fusignano, per presentare “L’anticasta” in apertura del secondo Meeting dell’informazione libera “Il grido della farfalla“; dopo di me, sullo stesso palco, Antonio Padellaro, Marco Travaglio e Peter Gomez parleranno de Il Fatto Quotidiano in un incontro dal titolo “Buona editoria o giornale farabutto?”
Venerdì 9 luglio sarò a Castagneto Carducci, ospite di “La Sinistra per Castagneto”, che sta cercando di promuovere sul proprio territorio percorsi partecipativi virtuosi. Negli stessi giorni andranno a Castagneto anche gli amici Domenico Finiguerra e Alessio Ciacci.
Lunedì 26, insieme a Marco Boschini, saremo alla Festa de l’Unità di S.Lucia di Faenza per riflettere insieme sulle prospettive future dei Comuni virtuosi.
Lunedì 9 agosto sarò a Viserba per l’incontro “Ponti della speranza: un mondo diverso“, presso il Teatro della Parrocchia “Santa Maria”.
L’estrema varietà degli ambiti nei quali sono invitato per portare un contributo di idee mi rallegra e mi fa pensare che al di la dei percorsi diversi che ciascuno ha alle proprie spalle si stia definendo poco per volta un orizzonte ampiamente condiviso, un medesimo sogno di società che vorremmo.
Avere una stessa meta permette di immaginare un cammino comune, perché -come cantano i Modena City Ramblers riprendendo le parole del grande poeta Luis Sepulveda– “i sentieri giusti vanno percorsi insieme”.
E soprattutto “alla meta arriviamo cantando, o non arriva nessuno…”
Insomma, non importa da dove veniamo, importa dove stiamo andando.
Questo è fondamentale perché il sogno possa diventare realtà!
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Il Rapporto 2009 appena reso noto da Amnesty International conferma la tendenza in corso ormai da oltre 30 anni verso il progressivo abbandono della
pena capitale.
Dal 1976 ad oggi, infatti, una media di tre nuovi Paesi ogni anno ha aggiunto il proprio nome alla lista dei paesi che l’hanno abolita.
Appena due anni fa, sempre basandomi sui dati di Amnesty International, evidenziavo nel mio libro Non è vero che tutto va peggio l’incredibile aumento nel numero dei paesi che l’hanno abolita per legge o in pratica, che erano passati in soli 30 anni da 16 a 135!!! Oltre i 2/3 degli stati del mondo.
Beh, ora questi paesi sono cresciuti ancora, arrivando a 139 su un totale di 197.
Anche il numero dei paesi in cui sono state eseguite esecuzioni capitali è sceso ancora, da 24 a 18, cioè meno del 10% dei Paesi della comunità internazionale e
le esecuzioni che erano diminute in due anni da 2148 a 1252, sono ulteriormente scese fino a 714.
I Paesi che hanno completamente abolito la pena capitale sono saliti a 95 e ci
sono due continenti – Oceania ed Europa – che nel 2009, per la prima volta in assoluto nella storia, non hanno fatto registrare esecuzioni!
Del resto, come si legge nel Rapporto di Amnesty anche “in tutto il continente americano, gli Usa sono stati l’unico paese ad eseguire condanne a morte”.
Inoltre, come sottolinea Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia: “E’ importante sottolineare quanto il continente più refrattario alla tendenza abolizionista, cioè l’Asia, sia il continente nel quale sono stati registrati passi
avanti importanti, tant’è che Afghanistan, Indonesia, Mongolia e Pakistan non hanno fatto registrate esecuzioni, e l’India, per il quinto anno consecutivo, ha portato avanti una moratoria.
Certamente è in Asia però che c’è il buco nero della pena di morte, perché presumiamo che le esecuzioni in Cina siano state ancora migliaia.
Abbiamo chiesto al governo di Pechino di rendere pubblici i dati sulle esecuzioni, perché se dicono ormai da tempo che le esecuzioni sono in diminuzione, non c’è alcuna ragione per cui la pena di morte debba rimanere un segreto di Stato.”
Se alcuni Paesi, come la Cina, alzano un muro di omertà di fronte a questa piaga, forse è proprio perché si rendono conto che la pena di morte è considerata ormai
a livello universale una questione di diritti umani e quindi circondare dal segreto i dati serve ad impedire un’ulteriore e più forte condanna e stigmatizzazione da parte della maggioranza dei Paesi del mondo, che ormai sono abolizionisti convinti.
Come ha dichiarato Claudio Cordone, Segretario generale ad interim di Amnesty International: “Sempre meno paesi fanno ricorso alle esecuzioni. Come in passato con la schiavitù e l’apartheid, il mondo sta respingendo questo affronto all’umanità. Siamo più vicini a un mondo libero dalla pena di morte, ma fino a
quel giorno bisognerà opporsi a ogni esecuzione“.
Vorrei condividere con voi oggi un breve brano che mi ha fatto molto riflettere, oltre che sorridere. E’ tratto dal libro “decrescere per il futuro”, a cura del gruppo spiritualità CNCA, edito da Comunità Edizioni, che può essere acquistato o anche scaricato gratuitamente in pdf da questa pagina.
Si tratta di un vecchio aneddoto a proposito di un incidente riportato, durante le manovre militari in Svizzera, dal premio Nobel ungherese Albert Szent-Györgyi:
“Il giovane tenente di un piccolo distaccamento ungherese nelle Alpi inviò
un’unità di ricognizione nella
desolata terra di ghiaccio.
Immediatamente prese a nevicare e continuò per due giorni; l’unità non tornava.
Il tenente soffriva, temendo di aver spedito
i suoi uomini incontro alla morte.
Ma al terzo giorno l’unità rientrò.
Dove erano stati? Come avevano ritrovato
la strada?
“Sì – dissero – ci consideravamo persi e attendevamo la fine.
Ma poi uno di noi trovò in tasca una mappa. Questo ci tranquillizzò.
Ci accampammo, lasciando passare la tempesta di neve, e poi con l’aiuto della mappa riuscimmo ad orientarci.
Ed eccoci qui”.
Il tenente chiese in prestito questa straordinaria mappa e la esaminò attentamente. Scoprì con grande stupore che non si trattava di una
mappa delle Alpi, ma dei Pirenei.”
Dunque, darsi delle mappe non è perché esse siano quelle giuste; anzi, in fondo, non sono e non saranno mai abbastanza adeguate e accurate nel
descrivere la realtà.
Però, per quanto sgangherate o errate siano le mappe di cui disponiamo, il loro compito è tenerci in cammino, non far perdere la voglia di alzare lo
sguardo e rimetterci in viaggio.
Evitano cioè che gruppi e persone avvolti nel disorientamento si paralizzino nella disperazione o si sfiniscano nell’essere senza tregua – e senza
meta – indaffarati.
Una carta geografica porta a guardarsi intorno e a riprendere strada.
È profondo il legame tra alzare lo sguardo e camminare: guardare il volto dell’altro e scrutare l’orizzonte verso cui muoversi è diventata una coppia
di gesti umani decisivi da quando, milioni di anni fa, la specie umana ha conquistato la posizione eretta e perfezionato l’andatura bipede, sviluppando di conseguenza il cervello: la specie umana ha “inizio con i piedi”, dice l’antropologo Leroi-Gouran.
I due gesti, uniti, danno spessore all’umano in un tempo in cui troppi volti guardano in basso e poco si è disposti a muoversi verso altri orizzonti.
Solo alzando gli sguardi e ampliando la visuale dei possibili percorsi possiamo vedere l’altro e la novità di liberazione verso cui siamo chiamati a dirigere i passi.